Bundesstrafgericht Tribunal pénal fédéral Tribunale penale federale Tribunal penal federal
Numero dell’incarto: RR.2020.305
Sentenza del 26 febbraio 2021 Corte dei reclami penali
Composizione
Giudici penali federali Roy Garré, Presidente, Giorgio Bomio-Giovanascini e Cornelia Cova, Cancelliere Giampiero Vacalli
Parti
A., rappresentato dagli avv. Fiammetta Marcellini e Luca Marcellini,
Ricorrente
contro
Ministero pubblico della Confederazione, Controparte
Oggetto
Assistenza giudiziaria internazionale in materia penale alla Città del Vaticano
Durata del sequestro (art. 33a

Fatti:
A. Il 19 dicembre 2019, il Promotore di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano ha presentato alla Svizzera una domanda d’assistenza giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale avviato nei confronti di B., C., D., A. e altri per titolo di abuso d’autorità (art. 175 CP/VA), peculato (art. 168 CP/VA), corruzione (art. 171-174 CP/VA), riciclaggio di denaro, autoriciclaggio e impiego di proventi di attività criminose (art. 421, 421 bis e 421 ter CP/VA) e associazione a delinquere (art. 248 CP/VA). Le indagini vaticane hanno quale oggetto un’operazione di investimento immobiliare a Londra, effettuata con finalità speculative e finanziato, in parte, anche con denaro nella disponibilità della Segreteria di Stato e da questa possedute con vincolo di scopo per il sostegno delle attività con fini religiosi e caritatevoli del Santo Padre (cosiddetto Obolo di San Pietro). Con la sua domanda di assistenza, l’autorità rogante ha chiesto, tra l’altro, l’acquisizione della documentazione concernente le relazioni bancarie di A. e delle società a lui riconducibili, nonché il sequestro dei valori ivi depositati (v. act. 8.1, pag. 10 e seg.).
B. Con decisione del 24 gennaio 2020, il Ministero pubblico della Confederazione (in seguito: MPC), cui l'Ufficio federale di giustizia (in seguito: UFG) ha delegato l'esecuzione della domanda, è entrato nel merito della stessa (v. act. 1.1 e 1.3, pag. 5).
C. Con decisioni incidentali del 24 gennaio e 13 febbraio 2020, il MPC ha ordinato l’edizione della documentazione bancaria concernente rispettivamente la relazione n. 1 presso la banca E. e la relazione n. 2 presso la banca F., entrambe intestate ad A., con blocco dei relativi saldi attivi (v. act. 1.1 e 1.3).
D. Con decisioni di chiusura del 5 ottobre 2020, il MPC ha ordinato il mantenimento dei sequestri dei valori patrimoniali depositati sulle due relazioni di cui sopra (v. ibidem).
E. Il 5 novembre 2020, A. ha interposto ricorso avverso le suddette decisioni di chiusura dinanzi alla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale, postulandone l’annullamento, con conseguente dissequestro dei conti e reiezione della rogatoria (v. act. 1).
F. Con scritto del 24 novembre 2020, l’UFG ha comunicato di rinunciare a presentare una risposta al gravame, rimettendosi al giudizio di questo Tribunale (v. act. 7). Con risposta del 9 dicembre 2020, il MPC chiede che il ricorso sia respinto, nella misura della sua ammissibilità (v. act. 8).
G. Con replica del 21 dicembre 2020, trasmessa all’UFG e al MPC per conoscenza (v. act. 11), la ricorrente ha confermato le proprie conclusioni ricorsuali (v. act. 10).
Le ulteriori argomentazioni delle parti verranno riprese, nella misura del necessario, nei successivi considerandi in diritto.
Diritto:
1.
1.1 La Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale giudica i ricorsi contro le decisioni di prima istanza delle autorità cantonali o federali in materia di assistenza giudiziaria internazionale, salvo che la legge disponga altrimenti (art. 25 cpv. 1


1.2 In assenza di trattati internazionali, ai rapporti di assistenza giudiziaria internazionale in materia penale tra la Città del Vaticano e la Svizzera si applica la legge federale sull'assistenza internazionale in materia penale del 20 marzo 1981 (AIMP; RS 351.1), unitamente alla relativa ordinanza (OAIMP; RS 351.11; v. art. 1 cpv. 1

1.3 La procedura di ricorso è retta dalla legge federale sulla procedura amministrativa del 20 dicembre 1968 (PA; RS 172.021) e dalle pertinenti normative (v. art. 39 cpv. 2 lett. b


1.4 La decisione dell’autorità cantonale o federale d’esecuzione relativa alla chiusura della procedura d’assistenza giudiziaria può essere impugnata, congiuntamente alle decisioni incidentali anteriori (art. 80e cpv. 1



1.4.1 La decisione mediante la quale un'autorità d'esecuzione in materia di assistenza internazionale ordina un sequestro è una decisione incidentale ai sensi dell'art. 80e cpv. 2




1.4.2 L'art. 74a




uno scritto del ricorrente del 9 giugno 2020 (v. act. 1.1 e 1.3, pag. 5) – non è impugnabile, salvo la sussistenza di un errore ai sensi degli articoli 23 e





1.4.3 In concreto, l'autorità rogante ha sollecitato sia la trasmissione di documentazione bancaria concernente i conti litigiosi intestati al ricorrente, sia il sequestro conservativo dei valori ivi depositati. Il ricorrente ha acconsentito alla trasmissione semplificata della documentazione bancaria, ma si è opposto al sequestro dei valori presenti sui conti. Visto quanto espresso ai considerandi precedenti, le decisioni impugnate devono essere considerate proceduralmente decisioni di chiusura, come rettamente fatto dal MPC, per cui il gravame, tempestivamente interposto entro il termine di trenta giorni previsto per l'impugnazione delle decisioni di chiusura, è ricevibile, senza che sia necessaria l’allegazione di un pregiudizio immediato e irreparabile ex art. 80e cpv. 2 lett. a

2. Il ricorrente sostiene innanzitutto che la domanda di assistenza giudiziaria vaticana sia irricevibile giusta l’art. 2 lett. a


2.1 Secondo l'art. 2

2.2 In concreto, dagli atti risulta che il ricorrente, cittadino italiano e imputato nel procedimento vaticano, risiede attualmente in Svizzera, più precisamente a Lugano (v. act. 1, pag. 1). L’ipotesi di una pedissequa domanda d’estradizione in esito alla procedura rogatoriale non può quindi essere esclusa. A ciò si aggiunge che la Città del Vaticano non ha ratificato né la CEDU né il Patto ONU II e non è nemmeno legata alla Svizzera da un trattato di assistenza internazionale (v. supra consid. 1), per cui si giustifica l’esame della ricevibilità della domanda sotto il profilo dell’art. 2 lett. a

2.2.1 Per quanto attiene all’accessibilità della legislazione penale estera, basti rilevare il fatto che la Città del Vaticano ha recentemente pubblicato, attraverso la “Libreria Editrice Vaticana”, un volume ufficiale intitolato “Codice penale vaticano” curato da Juan Ignacio Arrieta, Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, e da Maia Luisi, officiale dello stesso Dicastero. Esso è il risultato dell’integrazione del Codice penale italiano del 1889, conosciuto anche come “Codice Zanardelli” (v. Vinciguerra [curatore], I codici preunitari e il Codice Zanardelli, 1999; Idem [curatore], Il Codice penale per il Regno d’Italia, 2009), vigente in Vaticano dal 1929, con le numerose modifiche promulgate fino ad oggi (v. Arrieta, Codice penale vaticano, 2020, pag. 5 e segg.; sul diritto penale vaticano cfr. anche Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, 2a ediz. 2020, pag. 165 e segg.). Contenendo tale opera la normativa penale vigente nello Stato della Città del Vaticano, il principio della legalità è ossequiato. Senza dimenticare che le più recenti riforme legislative sono disponibili anche sul sito internet ufficiale dello Stato della Città del Vaticano (v. www.vaticanstate.va/it/norm-penale-amministrativa.html). Certo non si può nascondere che per quanto riguarda la recente edizione del Codice penale vaticano, la sua consultazione attraverso i tradizionali canali bibliotecari e librari non si rivela attualmente molto facile perlomeno in Svizzera, ma non vi è nessuna ragione di ritenere che non sia accessibile alla difesa dell’imputato nella Città del Vaticano. Per tacere del fatto che il Codice Zanardelli è anche disponibile in stampa anastatica nella predetta pubblicazione del 2009 a cura di Vinciguerra. Seppur in maniera certamente perfettibile, il requisito dell’art. 7

2.2.2 Per quanto riguarda la critica al sistema giudiziario e alla procedura penale dello Stato rogante, il ricorrente omette di considerare che il foro secolare del Vaticano, pur basandosi sul Codice di procedura italiano del 1913 (v. Leoncini, ibidem, pag. 1117 e segg.; Diddi, I novant’anni del Codice di procedura penale dello Stato vaticano, in Diritto e religioni, 1/2019, pag. 169 e segg.), è stato oggetto di importanti riforme e di approfondite analisi dottrinali proprio in punto alle pretese criticità sollevate nel gravame. Di rilievo risulta in particolare un recente contributo di Giuseppe Dalla Torre sull’indipendenza della giustizia nella Città del Vaticano (L’indipendenza della giustizia vaticana, in Scritti in onore di Libero Gerosa, a cura di Bianchi/Cattaneo/Eisenring, 2019; pubblicato anche nella rivista telematica Chiese e pluralismo confessionale, www.statoechiese.it, n. 25 del 2019). Affrontando la questione di sapere come sia garantita, nell’ordinamento vaticano, detta indipendenza, l’autore afferma che “ci sarebbero molti fattori da richiamare al riguardo, ma in questa sede vale la pena di limitarsi a uno, certamente non secondario, desumibile dall’ordinamento giudiziario dello Stato vaticano e da una consuetudine che ha valore normativo: vale a dire la selezione e i requisiti soggettivi dei magistrati stabili, inquirenti e giudicanti, che compongono il Tribunale. La scelta di questo tra i vari organi che a nome del Pontefice esercitano il potere giudiziario nello Stato della Città del Vaticano, non è casuale ma ha una ragione precisa. Giova al riguardo notare che l’ordinamento giudiziario vaticano ha subìto una serie di trasformazioni dal 1929 a oggi, che hanno riguardato in particolare proprio il Tribunale, organo che ha conosciuto tra l’altro un processo di positiva “laicizzazione”, sia per quanto riguarda la sua composizione sia per quanto attiene alle sue competenze” (ibidem, pag. 22). Importante in concreto è la Legge n. CCCLI sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano del 16 marzo 2020, la quale ha modificato parzialmente la precedente Legge n. CXIX del 21 novembre 1987, adattandone i contenuti alla realtà moderna (cfr. Dalla Torre, Lezioni di diritto vaticano, op. cit., pag. 127 e segg.; Idem, Considerazioni sul nuovo ordinamento giuridico dello
Stato della Città del Vaticano, in www.statoechiese.it, n. 12 del 2020, pag. 89 e segg.; Idem, I magistrati nel nuovo ordinamento giudiziario vaticano, in Diritto e Religioni, 1/2020, pag. 229 e segg.). Le grandi linee ispiratrici della nuova legge sono essenzialmente due: “innanzitutto il processo di ammodernamento dell’intero ordinamento giuridico vaticano, per renderlo acconcio a una realtà giuridica e di fatto assai cambiata rispetto al tempo delle origini dello Stato; poi, e soprattutto, l’armonizzazione dell’ordinamento giuridico vaticano con le esigenze de cosiddetto “giusto processo”, che costituisce ormai un paradigma di riferimento ineludibile a livello interno e internazionale” (Dalla Torre, Considerazioni sul nuovo ordinamento giuridico, op. cit., pag. 94). Nell’ordinamento vaticano il principio del giusto processo “è stato esplicitamente enunciato dalla Legge 11 luglio 2013 n. IX, recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, che all’art. 35, esplicitamente rubricato “Giusto processo e presunzione di innocenza” prevede l’aggiunta al codice di procedura penale dell’art. 350 bis secondo cui “ogni imputato ha diritto a un giudizio da svolgersi secondo le norme del presente codice ed entro un termine ragionevole, tenuto conto della complessità del caso, nonché degli accertamenti da compiere e delle prove da acquisire” e, nel comma successivo, “ogni imputato è presunto innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata” (ibidem, pag. 96; v. anche Diddi, ibidem, pag. 172). Come indicato nel preambolo della nuova legge, “con il nuovo millennio è iniziato un processo di revisione delle Istituzioni dello Stato della Città del Vaticano e una progressiva sostituzione delle iniziali leggi del 1929, contestuali alla sua creazione: nell’anno 2000 è stata adottata la nuova Legge fondamentale dello Stato; nel 2008 la nuova legge sulle fonti del diritto; di recente, nel 2018, ho provveduto anche ad aggiornare la legge sul governo dello Stato della Città del Vaticano, adattandola alle esigenze istituzionali e organizzative intervenute nel corso degli anni. Nell’ultimo decennio, inoltre, l’ordinamento giuridico vaticano ha conosciuto una stagione di riforme normative in materia economico-finanziaria e penale, anche come conseguenza dell’adesione a importanti
convenzioni internazionali”. L’art. 2 della Legge n. CCCLI prevede, al comma primo, che “i magistrati dipendono gerarchicamente dal Sommo Pontefice. Nell’esercizio delle loro funzioni, essi sono soggetti soltanto alla legge” e al comma 2 che “i magistrati esercitano i loro poteri con imparzialità, sulla base e nei limiti delle competenze stabilite dalla legge”. L’avverbio “soltanto” del comma 1 fonda l’indipendenza dei magistrati vaticani e la loro imparzialità nell’esercizio delle loro funzioni. Selezionati solitamente tra i professori delle università pubbliche (v. art. 8 comma 2 Legge n. CCCLI), i magistrati addetti al Tribunale vaticano sono persone che hanno una loro professionalità e un definito status giuridico fuori della realtà vaticana, e questo proprio allo scopo di garantire la loro indipendenza (v. Dalla Torre, L’indipendenza della giustizia vaticana, op. cit., pag. 23; Idem, Lezioni di diritto vaticano, op. cit., pag. 129; Idem, Considerazioni sul nuovo ordinamento giuridico, pag. 98 e seg.). Ciò vale “in particolare per i magistrati cui è affidato il compito di giudicare, posto che per natura sua l’ufficio del Promotore di Giustizia, cioè del magistrato addetto alla pubblica accusa, può avere – e talora deve avere – un qualche collegamento con il potere esecutivo” (Dalla Torre, L’indipendenza della giustizia vaticana, op. cit., pag. 23). Giova notare che “la provenienza dei magistrati vaticani da personale universitario, il quale per natura sua è culturalmente prima ancora che giuridicamente indipendente, costituisce anche una garanzia diretta a evitare possibili contiguità con apparati dello Stato italiano o di altri Stati; concorre dunque a evitare il pericolo, non trascurabile, di introdurre in uno degli uffici più delicati dello Stato vaticano soggetti, magari di alta competenza giuridica e professionale, che però potrebbero non garantire pienamente l’indipendenza rispetto a poteri esterni. E ciò anche al di là delle pur non inverosimili ipotesi per cui certe contiguità possano trasformarsi in veicoli di trasmissione ad autorità estere di informazioni delicate o riservate, con compromissione di quella sovranità che ancora nelle più recenti riforme della legislazione penale si è voluta tutelare con molto rigore” (ibidem, pag. 24). Da citare è anche la procedura di nomina, posto
che comunque ogni Stato ha le sue particolarità e il giudice dell’assistenza deve esercitare il proprio sindacato in merito con particolare prudenza (v. supra consid. 2.1). Mentre per la Legge sull’ordinamento giudiziario la nomina del cancelliere, del vicecancelliere, degli ufficiali giudiziari e del personale amministrativo avviene a norma del Regolamento generale del personale del Governatorato (v. art. 25 Legge CCCLI), quella dei magistrati interviene ad opera del Sommo Pontefice (v. art. 8 comma 1 Legge CCCLI; per i dettagli sulle varie autorità penali vaticane v. Diddi, ibidem, pag. 175 e segg.). In questo senso, secondo la dottrina, “i magistrati del Tribunale vaticano, sia con funzioni giudicanti sia con funzioni requirenti, sono collocati fuori dei poteri che ordinariamente esercitano, in nome del Sovrano, le funzioni legislativa e di governo. In particolare i magistrati non dipendono dalla Amministrazione, cioè dal Governatorato della Stato della Città del Vaticano, di cui possono essere chiamati giudicare gli atti; neppure dipendono da altre autorità giudiziarie, per quanto riguarda il contenuto da dare alle requisitorie o alle decisioni o altri provvedimenti. La nomina direttamente da parte del Pontefice comporta che nell’esercizio delle loro funzioni godono di una peculiare autonomia, rispondono direttamente al Papa, continuano a esercitare le loro funzioni anche in periodo di Sede vacante” (Dalla Torre, L’indipendenza della giustizia vaticana, op. cit., pag. 27 e seg.). Le prassi seguite in questo ambito hanno del resto permesso di fare ricadere la scelta “sempre su professori di università in materie giuridiche e su avvocati iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori” non diversamente da quanto avviene in Italia “per la nomina a Consigliere di Cassazione, per meriti insigni, di professori ed avvocati” (Diddi, ibidem, pag. 177).
Concludendo, l’imparzialità della giustizia penale vaticana è assicurata, oltre che dalle regole processuali che consentono di rimuovere il iudex suspectus, secondo criteri di astensione e di ricusazione in definitiva paragonabili a quelli previsti dagli art. 56 e segg. del Codice di procedura penale svizzero, “dalle modalità di reclutamento dei magistrati e dalla loro sottoposizione soltanto alla legge” (Diddi, ibidem, pag. 176). Non vi è dunque nessun elemento per ritenere che le nomine e la costituzione delle magistrature giudicanti avvengano in maniera arbitraria (v. del resto già l’art. 15 primo comma della Legge fondamentale del 26 novembre 2000, dove si legge che il potere giudiziario è sì esercitato a nome del Sommo Pontefice, ma “dagli organi costituiti secondo l’ordinamento giudiziario dello Stato”) e che nell’esercizio delle loro funzioni i magistrati della Città del Vaticano subiscano interferenze da parte degli altri poteri dello Stato e tanto meno che il ricorrente non beneficerebbe in casu di tutte le garanzie di un processo equo giusta l’art. 6

3. L’insorgente critica l’esposto dei fatti contenuto nella rogatoria, nella misura in cui esso non permetterebbe di sapere per quali reati egli sarebbe indagato.
3.1 Per quanto attiene alla domanda di assistenza, l’art. 28

3.2 In concreto, dalla rogatoria risulta che “tra novembre 2018 e maggio 2019 la Segreteria di Stato Vaticana ha effettuato le seguenti operazioni finanziarie: 1. Disinvestimento dal Fondo G., comparto della Fund H. riferibile al finanziere B. 2. Acquisto dell’intera proprietà dell’immobile sito a Z., di cui era proprietaria solo al 45%, per mezzo della società I. SA di C. 3. Estromissione di C. dall’investimento mediante un pagamento di 15 milioni di Euro e passaggio di proprietà dell’immobile alla società J. SA, newco interamente posseduta dalla Segreteria di Stato. Tali operazioni, effettuate con la consulenza del gestore patrimoniale di fiducia della Segreteria di Stato, A., hanno visto l’impiego di somme a destinazione vincolata e con il ricorso a schemi di investimento non trasparenti né coerenti con le normali prassi che regolano gli investimenti immobiliari (da qui l’ipotesi di peculato per distrazione) generato ingenti danni al patrimonio della Santa Sede. L’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato che ha seguito i fatti, e che allo stato delle indagini è gravemente indiziato dei reati sopra ipotizzati, era composto da: K. (Capo Ufficio), D. (funzionario) e L. (funzionario). Si evidenzia come l’investimento nel fondo G. origina da due finanziamenti erogati dalla banca F. e banca M., entrambi gestiti da A., per un totale di 200,5 milioni di USD. Alla data del 30-9-2019 tali finanziamenti risultavano ancora in essere per un importo pari a 172 milioni di Euro presso la banca F., garantiti dal pegno generale sulle disponibilità rivenienti dalle offerte dei fedeli per il c.d. Obolo di San Pietro e da altri fondi aventi vincolo di scopo. Il ricorso a questa struttura finanziaria, realizzata attraverso la costituzione in pegno dei fondi vincolati anziché attraverso l’impiego diretto delle disponibilità liquide (cd. Credito Lombard), a parere di questo Ufficio, rappresenta la forte evidenza indiziaria del fatto che essa abbia rappresentato un escamotage per non rendere visibile – come del resto avvenuto per moltissimi anni – la distrazione compiuta. Appare inspiegabile il fatto che, a fronte di liquidità disponibili presso la banca F. per oltre 450 milioni di Euro e concesse in pegno alla banca, la Segreteria di Stato abbia fatto ricorso ad un finanziamento” (act. 8.1, pag. 2 e seg.). Dopo
aver fornito i dettagli delle tre fasi sopraelencate (v. 8.1, pag. 2 e segg.), l’autorità rogante afferma che “allo stato delle indagini i danni arrecati al patrimonio della Segreteria di Stato per effetto delle condotte distrattive sopra descritte, risultano di importo ingente (attualmente quantificabili in non meno di 300 milioni di euro)” (act. 8.1, pag. 5). Essa aggiunge che “A. ha avuto un ruolo centrale, sia nell’operazione di Londra, sia in generale come gestore delle finanze della Segreteria di Stato dal 1990 […]. La più gran parte delle attività finanziarie della Segreteria di Stato sono depositate presso il Gruppo Bancario F. il cui gestore esterno sui conti svizzeri è A. mediante le sue società N. prima, e O. dopo […]. Nel portafoglio in deposito presso la banca F. della Segreteria di Stato, appaiono investimenti diretti ed indiretti effettuati da A. riferibili al medesimo soggetto (lui stesso), con un evidente conflitto di interesse e un possibile rischio di frode a danno della Segreteria di Stato” (act. 8.1, pag. 8). In definitiva, “A. sembra aver contribuito ad utilizzare i fondi della Segreteria di Stato per fini diversi da quelli istituzionali e per investimenti speculativi e non redditizi” (v. ibidem).
Il predetto esposto dei fatti risulta sufficiente per comprendere sia i fatti oggetto d'indagine, sia i reati contestati agli indagati. Esso è senz’altro conforme a quanto prescritto dall’art. 28

4. Il ricorrente afferma che l’autorità rogante avrebbe inserito il suo nome nella domanda di assistenza pur non avendo alcun specifico comportamento da addebitargli, per vedere se da tutti i documenti reperibili (bancari, e-mails, messaggi telefonici o altro) potesse emergere l’indizio di un qualche reato da indagare a suo carico, ciò che costituirebbe una ricerca indiscriminata di prove. Non essendovi inoltre un rapporto di causalità diretta tra i reati perseguiti e le relazioni oggetto delle decisioni impugnate, le cui movimentazioni in entrata e in uscita sarebbero tutte estranee al procedimento estero, i sequestri risulterebbero ingiustificati.
4.1
4.1.1 Il principio della proporzionalità esige che vi sia una connessione fra la documentazione richiesta e il procedimento estero (DTF 139 II 404 consid. 7.2.2; 136 IV 82 consid. 4.1/4.4; 130 II 193 consid. 4.3; 129 II 462 consid. 5.3; 122 II 367 consid. 2c; TPF 2017 66 consid. 4.3.1), tuttavia la questione di sapere se le informazioni richieste nell'ambito di una domanda di assistenza siano necessarie o utili per il procedimento estero deve essere lasciata, di massima, all'apprezzamento delle autorità richiedenti (DTF 136 IV 82 consid. 4.1; sentenza del Tribunale penale federale RR.2019.257 del 12 febbraio 2020 consid. 2.1). Lo Stato richiesto non dispone infatti dei mezzi per pronunciarsi sull'opportunità di assumere determinate prove e non può sostituirsi in questo compito all'autorità estera che conduce le indagini (DTF 132 II 81 consid. 2.1 e rinvii). La richiesta di assunzione di prove può essere rifiutata solo se il principio della proporzionalità è manifestamente disatteso (DTF 139 II 404 consid. 7.2.2 pag. 424; 120 Ib 251 consid. 5c; sentenza del Tribunale penale federale RR.2017.21 dell'8 maggio 2017 consid. 3.1 e rinvii) o se la domanda appare abusiva, le informazioni richieste essendo del tutto inidonee a far progredire le indagini (DTF 136 IV 82 consid. 4.1; 122 II 134 consid. 7b; 121 II 241 consid. 3a; sentenza del Tribunale penale federale RR.2017.21 dell'8 maggio 2017 consid. 3.1 e rinvii).
Inoltre, da consolidata prassi, quando le autorità estere chiedono informazioni per ricostruire flussi patrimoniali di natura criminale si ritiene che necessitino di regola dell'integralità della relativa documentazione bancaria, in modo tale da chiarire quali siano le persone o entità giuridiche coinvolte (v. DTF 129 II 462 consid. 5.5; 124 II 180 consid. 3c inedito; 121 II 241 consid. 3b e c; sentenze del Tribunale federale 1A.177/2006 del 10 dicembre 2007 consid. 5.5; 1A.227/2006 del 22 febbraio 2007 consid. 3.2; 1A.195/2005 del 1° settembre 2005 in fine; sentenza del Tribunale penale federale RR.2019.257 del 12 febbraio 2020 consid. 2.1). Lo Stato richiedente dovrebbe in linea di principio essere informato di tutte le transazioni effettuate attraverso i conti coinvolti. L’autorità richiedente ha un interesse ad essere informata di qualsiasi transazione che possa far parte del meccanismo delittuoso messo in atto dalle persone sotto inchiesta (sentenza del Tribunale penale federale RR.2014.4 del 30 luglio 2014 consid. 2.2.2). Naturalmente è anche possibile che i conti in questione non siano stati utilizzati per ricevere proventi di reato o per effettuare trasferimenti illeciti o riciclare fondi, ma l’autorità richiedente ha comunque interesse a poterlo verificare essa stessa, sulla base di una documentazione completa, tenendo presente che l’assistenza reciproca è finalizzata non solo alla raccolta di prove incriminanti ma anche a discarico (sentenza del Tribunale federale 1A.88/2006 del 22 giugno 2006 consid. 5.3; sentenza del Tribunale penale federale RR.2007.29 del 30 maggio 2007 consid. 4.2). La trasmissione dell'intera documentazione potrà evitare altresì che le autorità debbano inoltrare eventuali domande complementari (DTF 136 IV 82 consid. 4.1; 121 II 241 consid. 3; sentenza del Tribunale federale 1C_486/2008 dell'11 novembre 2008 consid. 2.4; sentenza del Tribunale penale federale RR.2011.113 del 28 luglio 2011 consid. 4.2), con evidente intralcio alle esigenze di celerità (v. anche art. 17a cpv. 1


procedimento penale all'estero (DTF 134 II 318 consid. 6.4; 126 II 258 consid. 9c; 122 II 367 consid. 2c; 121 II 241 consid. 3a e b; TPF 2010 73 consid. 7.1). Vietata è per contro la cosiddetta fishing expedition, la quale è definita dalla giurisprudenza una ricerca generale ed indeterminata di mezzi di prova volta a fondare un sospetto senza che esistano pregressi elementi concreti a sostegno dello stesso (DTF 125 II 65 consid. 6b/aa pag. 73 e rinvii). Questo modo di procedere non è consentito in ambito di assistenza internazionale sia alla luce del principio della specialità che di quello della proporzionalità. Tale divieto si fonda semplicemente sul fatto che è inammissibile procedere a casaccio nella raccolta delle prove (DTF 113 Ib 257 consid. 5c). Secondo la giurisprudenza, il principio dell’utilità potenziale gioca un ruolo cruciale nell'ambito dell'assistenza in materia penale. Lo scopo di tale cooperazione è proprio quello di favorire la scoperta di fatti, informazioni e mezzi di prova, compresi quelli di cui l'autorità estera non sospetta neppure l'esistenza. Non si tratta soltanto di aiutare lo Stato richiedente a provare i fatti evidenziati dall'inchiesta, ma di svelarne altri, se ne esistono. Ne deriva, per l'autorità d'esecuzione, un dovere di esaustività che giustifica la comunicazione di tutti gli elementi da essa raccolti e potenzialmente idonei alle indagini estere, al fine di chiarire in tutti i suoi aspetti i meccanismi delittuosi perseguiti nello Stato rogante (sentenze del Tribunale penale federale RR.2010.173 del 13 ottobre 2010 consid. 4.2.4/a, RR.2009.320 del 2 febbraio 2010 consid. 4.1; Zimmermann, op. cit., n. 722, pag. 798 e seg.).
4.1.2 In concreto, occorre innanzitutto ribadire che il ricorrente, in data 9 giugno 2020, ha acconsentito alla trasmissione semplificata all’autorità rogante di tutta la documentazione bancaria relativa ai suoi conti (v. act. 1.1 e 1.2, pag. 5), senza contestare quindi né la proporzionalità delle misure né l’utilità potenziale della documentazione. A sostegno di tale scelta egli ha certo affermato che “non poteva e non può credere che 27 anni di collaborazione con la Segreteria di Stato potessero essere stracciati sulla base di semplici opinioni e di false apparenze, ragione per cui ha voluto che tutti i documenti che lo riguardano giungessero il prima possibile nelle mani degli inquirenti” (v. act. 1, pag. 11). Tuttavia è proprio perché il ricorrente si è occupato tutti questi anni della gestione del patrimonio e degli investimenti della Segreteria di Stato vaticana che la documentazione litigiosa risulta senz’altro utile per l’inchiesta estera. Il MPC ha del resto messo in evidenza svariate operazioni intervenute sui conti (accrediti e addebiti di somme molto importanti indubbiamente compatibili con le ipotesi investigative; v. act. 1.1 e 1.2, pag. 6) che meritano degli approfondimenti da parte degli inquirenti esteri. Visto quanto precede, le censure in questo ambito vanno disattese.
4.2
4.2.1 L'autorità che entra nel merito di una domanda d'assistenza giudiziaria internazionale e, in esecuzione della stessa, ordina un sequestro, deve verificare che tale provvedimento abbia un legame sufficientemente stretto con i fatti esposti nella domanda e non sia manifestamente sproporzionato per rapporto all’oggetto di quest'ultima (DTF 130 II 329 consid. 3; sentenza del Tribunale federale 1C_513/2010 dell'11 marzo 2011 consid. 3.3). Lo Stato richiedente deve comunque apportare elementi che dimostrino, almeno a prima vista, che i conti per i quali si chiede il sequestro siano effettivamente stati utilizzati per trasferire fondi di cui si sospetta l’origine delittuosa (DTF 130 II 329 consid. 5.1 e riferimenti ivi citati).
4.2.2 Ebbene, visto quanto esposto in precedenza (v. supra consid. 3.2 e 4.1.2) nonché il danno globale di non meno di EUR 300 milioni indicato dall’autorità rogante, importo decisamente superiore ai valori qui sequestrati, è senz'altro possibile concludere che esistono elementi sufficienti per confermare il sequestro delle relazioni intestate al ricorrente. Il potenziale nesso fra il denaro sequestrato e i reati contestatigli è dato: toccherà poi all'autorità estera accertare se il denaro in questione è effettivamente di origine illecita. In caso affermativo, esso potrebbe fare l'oggetto di una decisione di confisca o di restituzione all'avente diritto nello Stato richiedente (v. art. 74a cpv. 1 e


5. In definitiva, le decisioni impugnate vanno confermate e il gravame integralmente respinto.
6. Le spese seguono la soccombenza (v. art. 63 cpv. 1


Per questi motivi, la Corte dei reclami penali pronuncia:
1. Il ricorso è respinto.
2. La tassa di giustizia di fr. 5'000.– è messa a carico del ricorrente. Essa è coperta dall’anticipo delle spese già versato.
Bellinzona, 1° marzo 2021
In nome della Corte dei reclami penali
del Tribunale penale federale
Il Presidente: Il Cancelliere:
Comunicazione a:
- Avv. Fiammetta Marcellini e Luca Marcellini
- Ministero pubblico della Confederazione
- Ufficio federale di giustizia, Settore Assistenza giudiziaria
Informazione sui rimedi giuridici
Il ricorso contro una decisione nel campo dell’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale deve essere depositato presso il Tribunale federale entro 10 giorni dalla notificazione del testo integrale della decisione (art. 100 cpv. 1 e


