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Art. 3 et 12a LA : rapport de causalité ; torture ; prise en considération d'une persécution passée.

1. Le rapport de causalité temporel entre les préjudices subis et la fuite du pays doit également être examiné en tenant compte d'éventuels empêchements objectifs au départ (consid. 4a et 7d ; cf. JICRA 1996 no 25).

2. En tant que forme aggravée d'un traitement inhumain délibéré, la torture implique nécessairement des souffrances très lourdes et cruelles (consid. 7b).

3. Motifs graves fondés sur des persécutions antérieures et application de l'exception de l'art. 1 C, ch. 5, al. 2 Conv. (raisons impérieuses [cf. JICRA 1996 no 10, 1995 no 16, 1993 no 31] ; consid. 7e - g).

Riassunto dei fatti:

X., cittadino della Bosnia-Erzegovina di fede musulmana, ha abbandonato il suo Paese d'origine e presentato una domanda d'asilo in Svizzera in ragione dei gravi maltrattamenti fisici e psichici di cui è stato vittima durante il periodo di prigionia di diversi mesi, da giugno 1993 a marzo 1994. L'interessato ha dichiarato di non essere stato arrestato come militare, ma come civile, di avere subito trattamenti degradanti, disumani e torture, in particolare nel campo di prigionia di Rodoc (eliporto) in mano all'HVO. Ha allegato di essere stato ripetutamente privato del cibo, di aver dovuto vivere in condizioni, anche igieniche, intollerabili, di essere stato più volte insultato, picchiato con bastoni di legno e calci - in un'occasione i croati hanno persino tentano di cavargli gl'occhi -, di avere dovuto assistere a maltrattamenti ed uccisioni di compagni di prigionia e di avere seriamente temuto di venire assassinato. Ha affermato di essere stato liberato nel marzo del 1994 in precarie condizioni fisiche, liberazione forse intervenuta nell'ambito degli accordi di pace sottoscritti tra croati e musulmani.

Successivamente ha vissuto dapprima presso una sorella fino al mese di novembre 1994, poi dai suoceri fino all'11 gennaio 1995 e ciò sempre nella zona di Mostar controllata dai musulmani. L'11 gennaio 1995 è espatriato dopo avere ottenuto un permesso di transito croato via Spalato, luogo in cui si è imbarcato su un traghetto diretto ad Ancona. Ha esibito la carta d'identità,


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nonché una tessera d'identificazione ed un'attestazione di detenzione nel campo di Rodoc dell'8 aprile 1994 rilasciate a suo nome dal CICR.

Il 3 agosto 1995, UFR ha respinto la succitata domanda d'asilo perché basata su motivi non rilevanti per la concessione dell'asilo in Svizzera. Detto Ufficio ha considerato che situazioni personali di svantaggio causate da avvenimenti bellici non possono essere considerate come rifiuto di protezione da parte dello Stato, poiché in simili situazioni lo Stato non è in grado di esercitare la sua funzione protettiva. Inoltre, e per costante prassi delle autorità svizzere, il riconoscimento della qualità di rifugiato presuppone uno stretto contesto causale, sia dal punto di vista temporale che oggettivo, tra persecuzione e fuga. L'UFR ha considerato la detenzione dal 30 giugno 1993 fino al 19 marzo 1994 troppo lontana nel tempo per poter essere considerata il motivo della partenza dal suo Paese intervenuta nel mese di gennaio del 1995. Inoltre, il timore di poter essere sottoposto in futuro a misure persecutorie da parte dello Stato è infondato, dal momento che dopo la sua liberazione si è stabilito nella zona di Mostar sotto controllo musulmano senza essere esposto a problema di sorta. L'UFR ha pronunciato l'allontanamento del richiedente dalla Svizzera, ma contemporaneamente la sua ammissione provvisoria in ragione
dell'inesigibilità del rimpatrio giusta il decreto del Consiglio federale del 21 aprile 1993 (ammissione provvisoria collettiva ai sensi dell'art. 14a cpv. 5 LDDS).

Il 4 settembre 1995, l'interessato ha inoltrato ricorso dinanzi alla CRA contro la succitata decisione dell'UFR nel quale ha chiesto l'annullamento del giudizio litigioso, il riconoscimento della qualità di rifugiato e la concessione dell'asilo in Svizzera. Il ricorrente si è doluto di un accertamento inesatto ed incompleto dei fatti giuridicamente rilevanti. Ha fatto valere che la decisione impugnata è basata su incomprensioni e che l'UFR non ha tenuto conto della sua situazione personale. Ha sostenuto di avere temuto, durante la lunga prigionia nel campo di Rodoc, di poter essere giustiziato in ogni momento (eventualità terrorizzante) e di essere stato trattato ripetutamente in modo degradante e disumano nonché brutalmente torturato dai soldati dell'HVO. Il suo stato psichico era "veramente sul punto di rottura". Ha affermato di avere personalmente assistito all'uccisione di compagni di prigionia, ed in un'occasione i proiettili destinati ad una vittima hanno sfiorato la sua testa. A suo giudizio è completamente errato sostenere che non vi è nesso causale tra i seri pregiudizi subiti e la partenza dal suo Paese. Difatti, dopo la liberazione dal campo di detenzione di Rodoc, il suo stato di salute era precario e ha persino
dovuto sottoporsi, fino al mese di dicembre 1994, ad una cura psichiatrica per una nevrosi ansio-depressiva prolungata-reattiva (ha esibito copia di


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un'attestazione medica del 13.12.1994). Ha allegato che a tutt'oggi soffre di un grave stato depressivo reattivo, nonché di altre affezioni, in particolare di natura cardiaca (allegato certificato medico).

La CRA ha integralmente accolto il ricorso, riconosciuto al ricorrente la qualità di rifugiato ed ordinato all'UFR di concedergli l'asilo.

Dai considerandi:

4. - Il ricorrente afferma che è illegittimo considerare, come ha fatto l'autorità inferiore, siccome interrotto il nesso di causalità temporale tra i pregiudizi patiti e l'espatrio, nonché irrilevanti in materia d'asilo le persecuzioni da lui subite vuoi per l'incapacità dello Stato, in una situazione di guerra civile, d'esercitare la funzione protettiva, vuoi per l'assenza di fondati timori di future persecuzioni.

a) Per quanto attiene alla problematica concernente il nesso di causalità, occorre rilevare che è di pubblica notorietà che la libertà di movimento per e soprattutto da Mostar è rimasta limitata per buona parte del 1994, anche dopo gli accordi di pace siglati fra croati e musulmani nel marzo del 1994, o dal momento in cui, il 23 luglio 1994, l'amministrazione della città è passata all'Unione europea (un serio miglioramento si è avuto risaputamente solo nel gennaio del 1995).

Le restrizioni riguardavano in particolar modo gli uomini tra i 18 e i 60 anni in età di servire nell'esercito. Inoltre, è pure risaputo che per abbandonare la Bosnia-Erzegovina in direzione dell'estero, vi era praticamente la necessità di un permesso di transito da parte dei croati - a meno di non voler passare per le zone controllate dai serbi, ciò che conto tenuto della nota situazione non era concepibile né ragionevolmente esigibile per un musulmano - croati i quali concedevano simili permessi con parsimonia. L'UFR non ha neppure considerato il precario stato di salute del ricorrente dopo il suo rilascio dal campo di prigionia di Rodoc, stato di salute cui l'interessato ha accennato nel corso delle audizioni. E' finanche evidente, infatti, che la questione del nesso di causalità temporale tra i pregiudizi subiti e la fuga va esaminata anche alla luce degl'eventuali impedimenti all'espatrio. La CRA constata pertanto che nel giudizio litigioso l'UFR non ha tenuto conto dei menzionati ostacoli all'espatrio, di modo che la motivazione sull'assenza di nesso causale si basa su di un accertamento insufficiente della fattispecie.


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b) In merito alla generica affermazione dell'UFR secondo cui sono irrilevanti i pregiudizi subiti allorquando lo Stato non è in grado di esercitare la sua funzione protettiva, per esempio nell'ambito di una guerra civile, la CRA ha già avuto modo di precisare che le persecuzioni imputabili a gruppi privati che senza essere detentori legittimi del potere pubblico esercitano di fatto la potestà su di una parte del territorio nazionale e sulla popolazione ivi residente, sono assimilabili - nell'esame della qualità di rifugiato - a persecuzioni statali, a condizione che siffatta potestà soddisfi determinati criteri (grado, stabilità, persistenza ed effettività del dominio; GICRA 1995 n. 2, pag. 14 e segg.). Anche da questo punto di vista la decisione querelata è carente, l'UFR non avendo esaminato le condizioni della persecuzione "quasi-statale".

c) L'UFR sostiene poi che i pregiudizi cui sarebbe stato sottoposto il ricorrente non sarebbero più rilevanti per l'infondatezza dei timori d'esposizione a persecuzioni future. L'autorità inferiore misconosce tuttavia che la CRA ha già affermato che persecuzioni anteriori possono ancora essere rilevanti in materia d'asilo, anche in assenza di fondati timori d'esposizione a futuri seri pregiudizi, se motivi gravi afferenti a tali persecuzioni facciano apparire come inesigibile il ritorno dell'interessato nello Stato anteriormente persecutore (GICRA 1993 n. 31, pag. 220 e segg.).

5. - Da quanto esposto, discende che la decisione impugnata si fonda su di un accertamento insufficiente della fattispecie e va, di conseguenza, annullata. Quando la CRA annulla una decisione, essa si sostituisce all'istanza inferiore e giudica direttamente nel merito od eccezionalmente rinvia la causa all'autorità inferiore per nuovo giudizio. In particolare, essa si sostituirà all'autorità inferiore se gli atti sono completi e comunque sufficienti a statuire sull'applicazione del diritto federale (GICRA 1996 n. 7, pag. 65). Nel caso concreto tale requisito è adempito.

6. - Ai sensi di legge sono rifugiati gli stranieri che, nel Paese d'origine o di ultima residenza, sono esposti a seri pregiudizi per considerazioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le loro opinioni politiche, ovvero hanno fondato timore d'essere esposti a pregiudizi siffatti. Sono pregiudizi seri segnatamente l'esposizione a pericolo della vita, dell'integrità corporale o della libertà, nonché le misure che comportano una pressione psichica insopportabile (art. 3 cpv. 1 e 2 LA).

Chiunque domanda asilo deve provare o per lo meno rendere verosimile di essere un rifugiato. La qualità di rifugiato è resa verosimile se l'autorità la


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ritiene data con una probabilità preponderante. Sono inverosimili in particolare le allegazioni che su punti importanti sono troppo poco sostanziate o contraddittorie, non corrispondenti ai fatti o basate in modo determinante su mezzi di prova falsi o falsificati (art. 12a LA).

7. - Va pertanto esaminata la questione della rilevanza (art. 3 LA) e verosimiglianza (art. 12a LA) delle allegazioni presentate dal ricorrente.

a) Nel giudizio querelato l'UFR giustamente neppure contesta la verosimiglianza dei fatti determinanti invocati dall'insorgente. Difatti, non può essere seriamente confutato, in presenza di attestazione del CICR (la cui autenticità non è stata contestata dall'UFR), che X. sia stato detenuto nel campo d'internamento di Rodoc perlomeno dal 10.8.1993 al 19.3.1994. Non vi è nemmeno ragione di dubitare delle allegazioni concernenti l'esposizione personale alle gravi torture fisiche e psichiche menzionate (come si vedrà più in dettaglio di seguito), tanto sono tristemente note le pessime condizioni di detenzione dell'eliporto di Rodoc, dove fra l'altro i detenuti venivano interrogati a qualsiasi ora della giornata, interrogatori quasi sempre accompagnati da maltrattamenti e torture, nonché persino confrontati a torture ed uccisioni di altri prigionieri (taluni prigionieri venivano obbligati ad effettuare lavori forzati al fronte). E' pure conosciuto il fatto che nei campi di prigionia dell'HVO, come quello dell'eliporto di Rodoc, si trovavano incarcerati non solo dei soldati appartenenti alle forze governative bosniache come sostenuto dai croati, ma pure civili (cfr. rapporto di Amnesty International del 1995). Peraltro, il
ricorrente ha comprovato (cfr. attestazioni mediche agli atti) le sue precarie condizioni fisiche e soprattutto psichiche anche dopo il rilascio dal campo di Rodoc e fino ad oggi.

b) Per quanto attiene alla rilevanza dei pregiudizi patiti dal ricorrente, la CRA osserva che l'interessato, civile, è stato fatto prigioniero dei croati il 30 giugno 1993, ed è rimasto detenuto all'eliporto di Rodoc perlomeno dal 10 agosto 1993 al 19 marzo 1994, periodo durante il quale è stato sottoposto, per motivi di appartenenza etnica e religiosa, a trattamenti inumani e degradanti nonché a torture.

La nozione di trattamento disumano si riferisce ad un trattamento che causa vive sofferenze fisiche e morali e che si situi ad un livello particolare. Il trattamento è degradante allorquando suscita nelle persone sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità atti a umiliarle, ad avvilirle e a spezzarne eventualmente la loro resistenza fisica o morale, si situi ad un livello


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particolare e si differenzi in ogni caso dall'elemento abituale d'umiliazione in un contesto di guerra civile (cfr. sentenze della Corte di Strasburgo nei casi Irlanda/Regno Unito, seria A n. 25, par. 167, e Tyrer, seria A n. 26, par. 29 e seg.). La tortura è generalmente una forma aggravata di trattamento disumano. L'elemento principale è costituito dall'intensità delle sofferenze inflitte per mezzo di un dato trattamento. Con il termine di tortura vengono definiti quei trattamenti disumani deliberati che provocano sofferenze molto gravi e crudeli.

In casu, non vi è chi non veda che le condizioni dell'illegittima detenzione, sicuramente precarie anche dal punto di vista igienico, sanitario ed alimentare, le costanti umiliazioni, le gravi e crudeli torture (in particolare ripetute e frequenti bastonature, tentativo di "enucleazione" degl'occhi, minacce di morte), nonché il confronto a maltrattamenti ed uccisioni di altri prigionieri (in un caso il ricorrente è stato sfiorato da un proiettile destinato alla vittima), e ciò per un periodo non inferiore ai 222 giorni, largamente supera la soglia dell'umanamente sopportabile e abituale in un contesto di guerra civile per sconfinare nella più bieca brutalità (non bisogna nemmeno dimenticare l'età e lo stato di salute del ricorrente), e costituiscono senza ombra di dubbio non solo una persecuzione rilevante nell'ottica dell'art. 3 LA, ma persino un trattamento vietato dall'art. 3
IR 0.101 Konvention vom 4. November 1950 zum Schutze der Menschenrechte und Grundfreiheiten (EMRK)
EMRK Art. 3 Verbot der Folter - Niemand darf der Folter oder unmenschlicher oder erniedrigender Strafe oder Behandlung unterworfen werden.
CEDU (cfr. GICRA 1995 n. 12, pag. 111; DTF 121 II 301; W. Kälin, Grundriss des Asylverfahrens, Basilea e Francoforte sul Meno 1990, pag. 41 e segg.).

c) Per quanto attiene alla capacità di protezione dello Stato d'origine del richiedente, la CRA ha già avuto modo di pronunciarsi in senso positivo sull'esistenza di una cosiddetta persecuzione "quasi-statale" da parte della HVO nel gennaio 1995 (cfr. GICRA 1995 n. 2, pag. 23). Ne discende che i seri pregiudizi subiti dall'interessato ad opera dell'HVO perlomeno tra agosto 1993 e marzo 1994 sono da considerarsi persecuzioni "quasi-statali" rilevanti nell'ottica dell'asilo, ritenuti adempiti i criteri del grado, della stabilità, della persistenza e dell'effettività dell'allora dominio dell'HVO nella parte di Mostar da loro controllata (cfr. GICRA 1995 n. 2, pag. 23).

d) Non sussiste peraltro dubbio riguardo al fatto che nel caso concreto non è venuto meno il nesso di causalità temporale tra i pregiudizi subiti e l'espatrio, conto tenuto del fatto che la libertà di movimento da Mostar è rimasta limitata per buona parte del 1994, che comunque per fuggire all'estero la via più utilizzata era quella da Spalato, e che per arrivarci era necessario un lasciapassare delle autorità croate, lasciapassare che venivano risaputamente rilasciati con parsimonia. Inoltre, il ricorrente soffriva di gravi affezioni


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psichiche che hanno necessitato di cure ininterrotte dal momento del suo rilascio dal campo di Rodoc fino pressoché al momento dell'espatrio.

e) Per quanto attiene alla situazione attuale in Bosnia-Erzegovina, la CRA osserva che la stessa è indubbiamente migliorata dopo la sottoscrizione degli accordi di Dayton, ma non ancora al punto tale da soddisfare i requisiti per una revoca dell'asilo ai sensi dell'art. 41 cpv. 1 lett. b LA in relazione all'art. 1 C n. 5 cpv. 1 Conv. (GICRA 1995 n. 16, pag. 153). In altri termini, ad oggi non si può ancora ritenere che sia intervenuto in Bosnia-Erzegovina un mutamento effettivo e duraturo della situazione generale, in particolare nel senso della democratizzazione del potere, dell'instaurazione e difesa dei principi fondamentali di uno Stato di diritto e del rispetto dei diritti dell'uomo, che giustifichi la revoca dell'asilo (di questo avviso è pure e notoriamente il Consiglio federale, il quale ha deciso unicamente, ed in tempi diversi a seconda dei casi, la revoca dell'ammissione provvisoria).

Ci si potrebbe dunque legittimamente chiedere se il ricorrente non possa comunque ancora nutrire giustificati timori di future persecuzioni da parte dei croati, in una nazione - la Bosnia-Erzegovina - dove quest'ultimi anche dopo la sigla degli accordi di pace restano parte influente. La questione può comunque rimanere indecisa in questa sede, ritenuto che la CRA considera comunque che i gravi e seri pregiudizi patiti dal ricorrente siano rilevanti per la concessione dell'asilo anche in assenza di fondati timori di future persecuzioni (cfr. GICRA 1993 n. 31, pag. 222). Infatti, è inesigibile il ritorno dell'interessato nello Stato anteriormente persecutore se sussistono gravi motivi riconducibili a persecuzioni passate. In altre parole, l'eccezione di cui all'art. 1 C n. 5 cpv. 2 Conv., secondo cui i rifugiati possono far valere, per rifiutare la protezione dello Stato di cui possiedono la cittadinanza, motivi gravi fondati su persecuzioni anteriori, è applicabile anche a rifugiati non statutari (cfr. GICRA 1995 n. 16, pag. 153). Conformemente alla giurisprudenza della CRA, la formulazione secondo la quale i motivi gravi (od imperiosi che dir si voglia) devono riferirsi a precedenti persecuzioni, significa che gli stessi
devono essere in correlazione con i fondati timori di essere perseguitato provati dall'interessato al momento della fuga. Vanno considerati quali motivi imperiosi ai sensi della citata disposizione, in primo luogo gl'eventi profondamente traumatici, ovvero quelli che hanno visto l'interessato prima dell'espatrio sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, vuoi a torture sì gravi da provocare una sofferenza psichica di lunga durata (GICRA 1995 n. 16, pag. 166 e seg. consid. 6d). La nozione di motivi imperiosi si riferisce a casi d'impossibilità psicologica ad accettare un eventuale ritorno nel Paese


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d'origine. Tale impossibilità concerne in primo luogo le persone sottoposte in passato a torture che hanno avuto per effetto l'annientamento della loro resistenza fisica o morale, ma pure altre persone che non sono state personalmente vittima di siffatti trattamenti, ma che in ragione della gravità dei traumi di lunga durata subiti dai loro parenti, provano loro stessi serie difficoltà psichiche (cfr. GICRA 1996 n. 10, pag. 74).

Nella fattispecie, la presenza del ricorrente nel campo di detenzione di Rodoc (la cui assimilazione ad un lager non appare fuori luogo) è stata dimostrata. In merito alle condizioni dell'arresto, l'interessato ha fatto presente di essere stato prelevato a casa durante un rastrellamento dell'HVO il 30 giugno 1993, e portato, col fucile puntato alla schiena, in una palestra dove vi erano già circa 750 prigionieri di tutte le età. Dopo 20 giorni è stato trasferito in un edificio militare e poi nel campo di Rodoc.

Il cibo era "orribile", e l'interessato ha dichiarato di essersi dovuto togliere da solo i denti cariati con lo spago. Inoltre, ha affermato di aver assistito ai maltrattamenti inflitti ad altri prigionieri ed all'uccisione di alcuni di essi. Afferma poi di essere stato rinchiuso in un locale privo di arredamenti insieme ad altri 97 prigionieri, e di aver dovuto dormire di fianco, disteso sul pavimento, per mancanza di spazio. Sostiene ancora di essere stato più volte bastonato senza apparente motivo, da due, tre, o quattro militari con bastoni di legno, preso a calci (se cadeva doveva rialzarsi il più presto possibile per non prendere calci in faccia), e che vi è stato pure un tentativo di enucleazione degli occhi. Durante le torture è stato insultato solo perché musulmano. Un giovane che avrebbe conosciuto sarebbe morto dalle percosse, ed un professore sarebbe stato ucciso a colpi di scatole di conserva. Nel gravame il ricorrente ha ribadito di aver assistito all'uccisione di un professore e di due conoscenti da parte dei miliziani croati, e che in un'occasione i proiettili avrebbero sfiorato la sua testa. Dichiara di aver vissuto col terrore, indescrivibile ed inimmaginabile, di venir giustiziato in qualsiasi attimo
della giornata.

f) E' noto che a Mostar militari e civili di etnia musulmana sono stati rinchiusi in differenti campi di concentramento dall'HVO. Nel maggio del 1993, 400 civili di etnia musulmana figuravano detenuti in uno stadio di Mostar - poi trasferiti in altri campi di detenzione tra cui quello di Rodoc - e 2000 nei dintorni della città. Alcuni giornalisti di etnia musulmana, anch'essi detenuti arbitrariamente nel maggio del 1993, hanno confermato maltrattamenti ed esecuzioni arbitrarie di prigionieri segnatamente nei campi di Dretelj e Rodoc.


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In siffatta evenienza, le allegazioni del ricorrente in merito ai gravissimi pregiudizi subiti - precise, attendibili e concordanti - non possono che ritenersi verosimili ai sensi di legge (art. 12a LA).

g) E' persino evidente che i trattamenti inumani e degradanti nonché le torture fisiche e psichiche sopportate per lungo tempo - 264 giorni, tiene a precisare il ricorrente - possono senz'altro, ed hanno nel caso concreto dato luogo, a scompensi psico-fisici, più particolarmente ad un grave trauma (cfr. F. Sironi, Les victimes de tortures et de répression: Nature, singularité et fonction du traumatisme, in Psychologie médicale 1992, pag. 459 e segg., pubblicato in Jalons n. 32, dicembre 1994, pag. 27 e segg.).

Certo, questi scompensi traumatici derivati dall'internamento in un lager, possono, col tempo, affievolirsi e divenire latenti. Possono tuttavia ripresentarsi in maniera violenta nel caso in cui l'interessato fosse costretto per una qualsiasi ragione a rientrare nel Paese d'origine (che peraltro è pur sempre parzialmente in mano ai croati), essendo intimamente legati al ricordo delle gravi e crudeli torture subite e viste subire da parte di croati. E' quantomai sintomatico, nel caso di specie, che il ricorrente, dopo la liberazione dal campo di Rodoc, sia stato curato per disturbi psichici presso l'ospedale di Mostar per otto mesi e, giunto in Svizzera, presenti tuttora uno stato depressivo reattivo, come si evince dai certificati medici prodotti dall'interessato.

h) Da quanto esposto, discende che il ricorrente ha "motivi imperiosi", derivanti da passate torture e seri pregiudizi subiti per motivi di razza e religione che fanno apparire inesigibile il rimpatrio. In questo contesto, il fatto che il ricorrente possa eventualmente anche in futuro soggiornare in Svizzera con un'ammissione provvisoria è senza rilevanza, come senza rilevanza è il fatto che da marzo 1994 al momento dell'espatrio non abbia subito ulteriori pregiudizi. Il ricorrente adempie pertanto le condizioni per il riconoscimento della qualità di rifugiato, ritenuto che alcun elemento emergente dalle carte processuali vi si oppone giusta l'art. 1 F Conv., o si oppone alla concessione dell'asilo (art. 8 LA).


Entscheidinformationen   •   DEFRITEN
Dokument : 1996-42-365-373
Datum : 11. Januar 1995
Publiziert : 11. Januar 1995
Quelle : Vorgängerbehörden des BVGer bis 2006
Status : Publiziert als 1996-42-365-373
Sachgebiet : Bosnien-Herzegowina
Gegenstand : 1996 / 42 - 365 Art. 3 et 12a LA : rapport de causalité ; torture ; prise en


Gesetzesregister
ANAG: 14a
EMRK: 3
IR 0.101 Konvention vom 4. November 1950 zum Schutze der Menschenrechte und Grundfreiheiten (EMRK)
EMRK Art. 3 Verbot der Folter - Niemand darf der Folter oder unmenschlicher oder erniedrigender Strafe oder Behandlung unterworfen werden.
BGE Register
121-II-296
Stichwortregister
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